Si dice cappelletti o tortellini? In brodo o alla panna? Nella carbonara: pancetta o guanciale? Non c’è bisogno di scomodare Shakespeare per porsi dubbi amletici anche nelle scelte più comuni. Oggi proviamo a risolverne uno: Culaccia o Culatello?
Dunque, il maiale è lo stesso: cresciuto e nutrito nelle campagne lombardo-emiliane, viene allevato in mezzo a quel verde “bagnato” dalla nebbia, tipico della tavolozza padana. È da sempre stato il protagonista delle tavole padane di contadini e nobili, anima della cucina dei gran ducati d’Este, Gonzaga e di Parma, fedele fonte di risorse per le popolazioni. Se nelle cucine della nobiltà la carne era una presenza costante, sinonimo di ricchezza e opulenza (ad eccezione forse dei giorni vincolati da precetti liturgici), sulle tavole più povere rimaneva una risorsa inesauribile di sostentamento, garanzia della sopravvivenza in tempi di carestie e guerre.
Terra di nebbia dicevamo, regale umidità gelosamente custodita anche nelle sue cantine. Qui li troviamo entrambi: Culaccia (o Culatta) e Culatello di Zibello DOP.
Entrambi i prodotti vengono ottenuti da suini allevati in Emilia-Romagna e in Lombardia, ma le zone di produzione sono molto più ristrette per quanto riguarda il Culatello di Zibello. Nello specifico, per il Culatello - essendo protetto da un disciplinare DOP - i suini devono essere nati, allevati e macellati all’interno delle suddette regioni seguendo le prescrizioni già stabilite a livello nazionale per la materia prima dei prosciutti di Parma e San Daniele; la Culaccia invece, non essendo un prodotto che risponde a un disciplinare, viene riconosciuta in una zona più indefinita dell’Emilia. Va ricordata comunque una giovane e interessante Associazione costituita nel 2017 che ha depositato il marchio “Culatta Emilia”, la cui produzione è collocata fra le province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e costituita oggi da 26 aziende, che auspicano di porsi sul mercato con la propria IGP.
La carne proviene per entrambi dalle cosce interne e posteriori del maiale per entrambi (quindi si tratta di pezzi anatomici interi), con la culatta che viene rifilata maggiormente rispetto al Culatello, ovvero ha un peso specifico minore (è mediamente più piccola).
Se per la Culaccia la parte di coscia è rifilata e disossata, ma potremmo ancora trovare l’anchetta e uno strato evidente di cotenna, per il Culatello invece la coscia subisce un trattamento di disossamento completo, viene scotennato e insaccato in vescica di scrofa. Nella fase di asciugatura e stagionatura, il budello naturale permetterà agli aromi e le spezie aggiunti nelle fasi di massaggio di penetrare nella carne e di sprigionare tutte le tipicità del prodotto. Inoltre, grazie alla fase successiva di riposo nelle cantine delle poche province parmensi consentite dal disciplinare (Polesine, Busseto, Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo, Sissa ed infine Colorno) il Culatello assumerà l’aroma tipico “di cantina” dovuta alla grande traspirabilità con l’ambiente circostante che il budello naturale garantisce.
Un’altra grande differenza tra i due prodotti - oltre all’insacco in budello naturale - è che il Culatello subisce una doppia legatura: una successiva alla rifilatura direttamente a contatto con la carne che gli dona la classica forma a pera e una successiva all’insacco, all’esterno della vescica, che a conclusione della stagionatura, per via della perdita di peso, sarà lassa come una tunica slacciata. Nella Culaccia invece ritroviamo - oltre ad uno strato di cotenna simile a quello del prosciutto crudo, anche se in una superficie molto minore - un leggero strato di sugna (farina di riso, sale, spezie), che serve a proteggere la zona in cui il muscolo femorale è stato tagliato nella prima fase di lavorazione e non è protetto dalla cotenna. Il risultato dona al Culatello a pezzo intero una forma a pera mentre la Culaccia avrà una forma più assottigliata ed “appiattita”. Al taglio la fetta di un Culatello sarà rotonda - qualcuno dice a forma di cuore - leggermente marezzata nelle parti di magro e circondata da uno strato di grasso, mentre per la culaccia sarà più ovale.
È giusto sottolineare le differenze tra questi due prodotti per diverse ragioni: innanzitutto perché può capitare che al mercato o al ristorante questi due prodotti possano essere confusi e proposti per ciò che non sono (non necessariamente di proposito), inoltre perché non conoscendo il grande lavoro e la capacità che necessita un prodotto come il Culatello di Zibello si potrebbe trovare ingiustificatamente elevato il costo.
Ma se parlassimo di cuore, di essenza dei due prodotti, cosa potremmo riconoscere? Se ascoltassimo il battito del Culatello riconosceremmo che il romanticismo risiede proprio in questo ballo lento: un ritmo tutto emiliano di riposo in una cantina rurale, al suono di un budello naturale che conduce la stagionatura mentre la carne che si fa travolgere da spezie, segrete ricette di vino bianco secco e aglio, lasciandosi alle spalle il peso dell’acqua, una delizia che si compatta e sprigiona i suoi caratteristici profumi. La dolcezza della Culaccia invece rimane piena e tipica nella sua ricetta, una carne morbida e aromatica, forse più facile al palato. Più che un “culatello con cotenna” come in tanti impropriamente la definiscono, potrebbe essere riconosciuta più degnamente come la principessa alla corte del Re dei Salumi.