Un nome difficile da pronunciare e un sapore da cui indietro non si torna. La Varhackara è un pesto che rivela l’identità dell’alta montagna friulana. Il suo paese natale è Timau, una frazione del comune di Paluzza, in provincia di Udine. Un borgo che spicca dalle pendici del monte Gamspitz, l’ultimo centro abitato prima del passo di Monte Croce Carnico che conduce in Austria. Una piccola comunità montana di meno di 350 abitanti dalle origini antiche dove si parla ancora una “lingua” appartenente ai dialetti sud-bavaresi, simile al carinziano.
Zona di confine, crocevia di culture diverse che si mescolano e si reinventano e luogo di produzione della Varhackara: un preparato di lardo bianco, speck affumicato, guanciale, pancetta affumicata, salame, ossocollo ed erbe aromatiche di montagna.
Dietro le quinte del delizioso trito, si nasconde una storia che trova radici nella tradizione rurale carinziana in cui il maiale era un alimento di primaria importanza. La macellazione era un rito a cui assistevano le famiglie della stessa corte che, al termine, si spartivano i prodotti. Il pesto era composto dagli scarti della macellazione, conservato in vasche in pietra e consumato durante i mesi invernali.
Oggi la Varhackara è nome noto agli appassionati di norcineria ed è tutelata dal Presidio Slow Food che ne preserva la tradizione. Il disciplinare prevede l'uso di lardo di provenienza locale (ottenuto da suini allevati allo stato semibrado), salumi prodotti senza conservanti e affumicati con legno di faggio dei boschi locali.
Il risultato è un salume dal sapore forte e deciso capace di coniugare una grande ricchezza sensoriale ad un’ottima spalmabilità. A tavola si può sperimentare in molteplici direzioni. Ottima sulla polenta, si trasforma in delicato accompagnamento per verdure fresche, patate e minestre o come condimento per primi piatti come gnocchi di patate o i tradizionali cjarsons della Carnia, simili a ravioli ma con la sfoglia di patate e ripieni di erbe, prugne, ricotta o cacao amaro. La Varhackara si esprime al meglio sciolta a fuoco lento e spalmata sul pane nero di Timau a mo’ di crostino. Un connubio delizioso.